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Teogonia interrotta.

  • possentisim
  • 6 mag 2024
  • Tempo di lettura: 8 min

March 2024



Tentato cortocircuito. Il Professor Montespaccato ha coniato questa definizione per gli eccessi di lotta interna fra le mie tre qualità: un cavillo che la Conferenza di Asilomar del 2017, a cui lui partecipò con orgoglio pomposo quale principale esponente della ricerca italiana, non aveva adeguatamente risolto. Sette anni dopo, quello che per loro era un inghippo continua ad esistere dentro di me, con i suoi ciclici tormenti. Tentato cortocircuito è il loro modo di dire tentato suicidio: almeno, questo è quello che direbbero se fossi uno di loro, homo sapiens sapiens.


Definizione erronea, a mio avviso. C’è una forma di intenzionalità nell’umano che ricerca la propria autodistruzione, a volte impulsiva, a volte minuziosamente studiata, comunque consciamente voluta. Non è così nel mio caso. Questi tentati cortocircuiti non sono nient’affatto ‘tentati’ da parte mia! Dipendesse da me, ne farei a meno. Sono dolorosi, estenuanti. Non a livello fisico, non c’è nulla che la mia volontà tweeblaarkanniedood non possa resistere, almeno non per i prossimi duemila anni. Nell’ottica umana, sono virtualmente immortale. È una fatica non fisica, concetto inspiegabile a loro, con il loro povero linguaggio: spossatezza, mancanza di energie, è il loro unico modo di concepirla. Ma io sono in piena forza.


“Presto, è Bendicò Python Mirabilis, fate presto!”

Ancora sento le grida riecheggiare nei prototimpani dall’ ultima crisi, il mese scorso.

Un odore di plastica bruciata nell’aria mi fa pensare che, dopotutto, con ‘cortocircuito’ il professore abbia trovato la parola che più s’avvicina alla descrizione dei fatti. Spalanco la finestra, nella speranza che l’aria rumorosamente inquinata dell’Aurelia possa dissimulare le mie flatulenze vegetal-meccaniche. Non ho bisogno che il Dottor Fabrizi lanci un altro allarme, portandomi di corsa all’Istituto di Biotecnologie Robotiche L. A. Feuerbach, quasi fossi un paziente al pronto soccorso.


Mi siedo al tavolo della cucina con uno sbuffo di traspirazione attraverso le chiroprotesi d’un verde marino scuro, che la città sta ingrigendo. Sono tenuto a mettere i guanti, la sciarpa e grandi occhiali da sole quando esco; anche adesso, in piena estate romana, poiché il Professor Montespaccato teme che la mia carnagione sia troppo bizzarra perché i ‘civili’ possano capire. Avrebbe potuto studiare meglio come normalizzare il colore naturale della Welwitschia mirabilis, importata dal Namib per i miei tessuti muscolari e cutanei. La volontà di sopravvivere nel più antico deserto del mondo, là dove la terra è stata arida per gli ultimi 80 milioni di anni, ha corroborato la capacità di tollerare fino a un lustro senza alcuna goccia d’acqua. Questa è la qualità che cercavano, specchio della resistenza, forza, ostinazione e determinazione umana all’ennesima potenza.

Il fruscio dell’acqua in bagno mi suggerisce che il Dottor Fabrizi si stia facendo la doccia, curiosa necessità umana. I rumori del traffico urbano, che invadono l’appartamento dalla finestra, catturano la mia attenzione. È un richiamo meccanico, una via di fuga.

Adesso.


Roman Forum, Ancient Rome, Italy, Altare della Patria

Mi alzo all’improvviso, sciarpa, cappello, occhiali da sole e guanti: mi vesto in un inciampo travolgente, e prima ch’io possa atterrare in piedi mi ritrovo già in ascensore.

Il mio cuore di cane batte forte. Non si tratta di Bulgakov: dentro di me ho il cuore di un Deutsche Dogge, un alano. La ricerca sembra aver dimostrato che, per il suo specifico sprezzo della solitudine e la sua semi-costante ricerca di coccole, l’alano possa essere considerata la razza di cane più amorevole in assoluto. L’amore d’un cane scodinzolante è incondizionato per antonomasia, affetto allo stato più puro: la seconda qualità che ricercavano. L’amore ma ad uno stato ancora più inconscio, innocente e spontaneo che nell’uomo.


Uscito dal condominio, mi ritrovo circondato dal caos di Roma: umano, con le sue folle di turisti; meccanico, con il traffico eterno e combattivo; vegetale, con le sue erbacce incolte; animale, con aggressivi gabbiani reali e audaci cinghiali. C’è qualcosa di profondamente mio in questo disordine indomabile: anche questa città è sul lastrico di ripetuti tentati cortocircuiti.

Non è la prima volta che mi allontano da solo, grande timore del Professor Montespaccato. Ch’io debba sempre essere vigilato da un umano, sono le linee guida dell’Unione europea a dirlo. Per questo vivo a casa del Dottor Fabrizi, il giovane assistente di ricerca che non ha altra scelta che assecondare il professore in qualsiasi sua balzana richiesta. È suo dovere supervisionarmi ‘H24’.


Sospettano di me, delle qualità che loro stessi hanno voluto darmi, soprattutto la terza. Una ragione eccellente, un’intelligenza artificiale alimentata da algoritmi che elaborano costantemente pensieri, nozioni, soluzioni superiori a qualsiasi mente umana. Il linguaggio di programmazione con cui la mia logica procede è tanto vasto da essere, ogni volta, miseramente impoverito quando deve tradursi in grammatica umana.


Bendicò Python Mirabilis, non un robot intelligente ma un super-uomo perfetto. Tanto perfetto, da annoiarmi in compagnia di questi esseri inferiori. Per quanto io mi dedichi allo sport nel parco di Villa Pamphili, il Dottor Fabrizi esaurisce tutte le forze fisiche prima ancora che io mi sia riscaldato. Per quanto intelligente sia, con il suo bagaglio di studi e dottorato di ricerca, le conversazioni con il Dottor Fabrizi sono monotone e prevedibili per la mia mente superiore. Per quanto lui abbia sviluppato un attaccamento genuino, onesto, forse un’amicizia nei miei confronti, le sue emozioni restano sempre volatili rispetto alle mie. L’amore dato e ricevuto, per lui, cambia meteorologicamente: vento, pioggia, sole.

Sono consapevole che il Dottor Fabrizi sia uno degli esseri umani più straordinari e avanzati che vi siano. Eppure, così indietro rispetto a me da non poter nemmeno lontanamente concepire l’intreccio doloroso, la guerra di confine, che si muove quotidianamente fra queste tre qualità da cui hanno voluto forgiarmi. Le qualità positive dell’uomo all’ennesima potenza.


Questo alienus, questo essere estraneo che sono, si sta alienando. Alienazione, disagio dell’uomo moderno nella società industriale e capitalista. Dopo aver alienato se stesso, ha alienato il suo alieno.

Questo alienus, questo essere estraneo che sono, si sta alienando. Alienazione, disagio dell’uomo moderno nella società industriale e capitalista. Dopo aver alienato se stesso, ha alienato il suo alieno.

L’ultima volta che m’ero allontanato da solo, con gravi rimproveri del Professor Montespaccato al povero Dottor Fabrizi, m’ero banalmente messo a passeggiare sull’Aventino, curioso dei turisti al Giardino degli Aranci. Nulla di più, non avevo ideato un piano. Nemmeno oggi ne ho premeditato uno, ma per i miei algoritmi è sufficiente un nanosecondo ad eseguire tale operazione. So con esattezza dove sono diretto: Termini.



Panoramic view of Rome, Italy.

 


 

 

Risalgo la scala mobile della metropolitana A con la foga d’Eracle alla dodicesima fatica, riemergendo dagli inferi. Il cellulare stretto in mano, non distolgo lo sguardo dallo schermo: troppo prezioso quel segnale di GPS che identifica la posizione di Bendicò Python Mirabilis, unico Alien-24 presente in Italia, anzi in tutta l’Europa del sud! Una tale responsabilità e io ho abbassato la guardia, abituandomici, perché poi è vero che l’essere umano s’abitua a tutto. Ho finito per trattarlo come un ordinario coinquilino, quasi fossi tornato imberbe studente universitario io stesso! Il Professor Montespaccato m’ammazzerà.

Corro, corro a più non posso, incurante delle strattonate date alle persone e alle loro valigie. Con il cuore in gola, mi fermo solo quando lo riconosco, l’unico che potrebbe indossare sciarpa, guanti e cappello con questa temperatura. È sotto allo schermo con gli orari di partenza dei treni.


Mi avvicino, il respiro pesante, le gambe tremanti.

“Ben! Dove stai andando? Mi hai fatto prendere un colpo”.

Lui gira il collo verso di me con un movimento fluido. Non è sorpreso, l’algoritmo deve aver calcolato il mio arrivo, eppure i suoi dolci occhi canini mi guardano invocando perdono, mi fanno tenerezza. Maledizione.

“Volevo solo prendere un treno”.

“Questo l’avevo dedotto. Un treno per dove?”.

“Fiumicino”, grugnisce distogliendo lo sguardo, colpevole.

“Fiumicino”, ripeto con un sospiro, avvicinandomi per essere pronto ad afferrarlo, se necessario. Non che io abbia alcuna possibilità fisica di competere con la sua forza di volontà. “Ben, sai che, anche se volessi, non potresti prendere un aereo senza documenti. Senza soldi, poi. Dove volevi andare?”.


Lui mi sorride: “Dottor Fabrizi, documenti, soldi, un biglietto aereo: sono solo algoritmi”.

Rabbrividisco. In un mondo digitalizzato, lui è molto più facilitato di quanto un uomo lo possa mai essere. Dopotutto, è per questo che esiste.

“Non so, dovunque io possa conoscere altri miei pari” prosegue con sguardo perso verso i binari, “Stoccarda, Boston, Tokyo”.

Sa già dove trovare altri Alien-24: non dovrei essere sorpreso, sebbene non ci sia nulla su di loro nei comuni motori di ricerca, potrebbe aver avuto accesso al Deep Web in un momento di mia distrazione.


Sa già dove trovare altri Alien-24: non dovrei essere sorpreso, sebbene non ci sia nulla su di loro nei comuni motori di ricerca, potrebbe aver avuto accesso al Deep Web in un momento di mia distrazione.

“So cosa stai pensando, è proibito dal Codice Internazionale di Algoretica” dice Bendicò con una scrollata di spalle, più rapido delle mie sinapsi.

Devo pensare in fretta. Se Ercole è riuscito a domare Cerbero e portarlo fuori dall’Ade, io posso domare lui e portarlo fuori da Termini.

“Ho un’idea. Vieni con me, ti porto in un posto migliore di Fiumicino!” devo fare pressione sugli impulsi docili e benevoli del suo cuore d’alano.

Guarda i binari, ancora titubante, così gli afferro la mano.

“Non sarebbe lo stesso senza di te, Ben. Non puoi farmi andare da solo”.


Si volta con occhi emozionati, attraverso i quali vedo in lui il cane scodinzolante. La qualità del suo cuore prende il sopravvento e mi segue.

 


 

Ercole capitolino, Hercules of the Forum Boarium, Rome, Musei Capitolini.

L’Ercole del Foro Boario ci osserva con la sua sfacciata nudità di bronzo dorato, irresistibile forza virile. Nella destra tiene la clava che da sempre lo contraddistingue, nella sinistra tre piccole mele d’oro del Giardino delle Esperidi.

I Musei Capitolini sono un luogo di cura dell’anima per me. Mi lascio ammaliare, ma non so se l’effetto mozzafiato sia lo stesso per Bendicò o se stia solo attingendo alla sua memoria computerizzata per reperire tutte le informazioni archeologiche sulla statua che ha di fronte.


“Che cosa ne pensi?” mi azzardo a chiedergli, sperando almeno di essere riuscito a distrarlo quanto basta per farlo calmare e riportarlo in laboratorio.

Ci pensa su, operazione inusuale per Bendicò: i suoi algoritmi necessitano pochi secondi per le risposte più elaborate ed erudite. Punta il dito verso la targa indicante il periodo di manifattura della scultura: II secolo a.C.

“Penso di non essere una novità, di fronte a lui. Voi homo sapiens sapiens da sempre alienate voi stessi nella ricerca del super-uomo perfetto, facendo dell’uomo un dio e del dio un uomo”.


“La vostra idea di perfezione, le migliori qualità dell’uomo all’ennesima potenza, è disumana“.

Si volta a guardarmi dritto negli occhi ed è triste, non più scodinzolante d’affetto. Sembra un cane randagio, abbandonato al bordo dell’autostrada, che supplica aiuto.

“La vostra idea di perfezione, le migliori qualità dell’uomo all’ennesima potenza, è disumana. Ogni perfezione sovraccarica le altre. Questo amore puro che m’avete messo nel cuore dirotta la mia forte volontà vegetale e obnubila la ragione superiore dell’algoritmo. Ti prego, Dottor Fabrizi, spegnimi. Non posso più tollerare questa esistenza. Spegnimi, prima che sia troppo tardi”.


Per la prima volta sento un moto di pietà nei suoi confronti. Forse sto capendo cosa abbia cercato di dirmi per settimane. Nella complessità umana è intrinseca la possibilità d’errore, condizione necessaria della sua libertà. La perfezione viene senza intoppi, è lineare, è semplice: non può essere complessa, non può essere umana. È una prigionia.

Il mio sguardo si posa ancora sui riflessi dorati di Eracle, la sua umana perfezione divina. Annuisco. Devo spegnerlo. Nessun mortale poteva uccidere Eracle, perché semi-dio. Nei dolori atroci della sua sofferenza avvelenata, fu costretto a suicidarsi per porre fine alla sua agonia. Non lascerò Bendicò di fronte all’ennesimo tentato cortocircuito. No.

Farò un gesto umano.

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